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La Self Compassion nel contesto lavorativo

19/05/2025

La sofferenza è un aspetto inevitabile della vita organizzativa. I dipendenti affrontano quotidianamente emozioni e pensieri negativi legati a eventi lavorativi, che spaziano da interazioni tossiche con colleghi, a fallimenti professionali, fino agli errori più comuni della routine lavorativa. A questa si aggiunge il disagio derivante dalla sfera personale che può facilmente riversarsi nel contesto lavorativo, come difficoltà familiari o eventi traumatici collettivi.

Negli ultimi anni, la self compassion — un concetto sviluppato dalla psicologa Kristin Neff — si sta affermando come una strategia efficace in particolare per affrontare momenti difficili.  Essa offre agli individui un modo per rispondere alla sofferenza con maggiore equilibrio emotivo, contribuendo così al benessere psicologico e al miglioramento delle dinamiche relazionali, sia sul piano intrapersonale che interpersonale.

 

Cos'è la self compassion?

Secondo Kristin Neff, la self compassion si fonda su tre componenti principali:

  • Gentilezza verso sé stessi, ovvero la capacità di rispondere alle proprie difficoltà con calore e comprensione invece che con autocritica;
  • Umanità condivisa, ossia il riconoscimento che la sofferenza e l’imperfezione sono parte dell’esperienza umana comune;
  • Consapevolezza non giudicante (mindfulness), che implica osservare pensieri e emozioni difficili senza negarli né identificarvisi.

Questi elementi, applicati al contesto professionale, permettono ai lavoratori di affrontare errori, critiche e frustrazioni con maggiore resilienza e minore autocondanna.

 

Fattori individuali e contestuali che favoriscono l’auto-compassione

Una recente metanalisi (Dodson & Heng, 2022) ha esplorato i fattori che facilitano la self compassion nel contesto lavorativo. A livello individuale, alcuni tratti di personalità, come estroversione, coscienziosità e apertura all’esperienza, sono positivamente associati a una maggiore autocompassione. Al contrario, tratti come il nevroticismo — spesso legato ad ansia e insicurezza — si correlano con una maggiore tendenza all’autocritica.

Anche l’intelligenza emotiva gioca un ruolo centrale: chi è in grado di riconoscere, comprendere e regolare le proprie emozioni mostra livelli più alti di self compassion. Inoltre, dipendenti che tendono ad evitare legami affettivi nel contesto professionale risultano meno propensi a essere autocompassionevoli.

Fattori demografici come l’età e l’esperienza lavorativa influenzano positivamente la capacità di applicare la self compassion. Alcuni studi indicano anche differenze legate al genere e alla cultura: ad esempio, alcuni dati suggeriscono punteggi leggermente superiori negli uomini, ma tale tendenza necessita di ulteriori approfondimenti.

Infine, il clima organizzativo è cruciale. Ambienti di lavoro supportivi, in cui colleghi e superiori mostrano empatia e comprensione, incentivano l’auto-compassione. Al contrario, carichi eccessivi di lavoro e pressioni continue tendono a ridurre la capacità individuale di trattarsi con gentilezza, soprattutto in settori come la sanità, l’educazione e l’assistenza, dove il coinvolgimento emotivo è particolarmente intenso.

 

Benefici intrapersonali della self compassion

La stessa metanalisi (Dodson & Heng, 2022) ha esplorato anche i possibili benefici della self compassion. Numerosi studi hanno dimostrato che la self compassion è associata a un miglioramento complessivo del benessere psicologico e fisico. Le persone autocompassionevoli sperimentano livelli più bassi di ansia, depressione e stress, oltre a una maggiore resilienza nelle situazioni difficili.

Nel contesto lavorativo, la self compassion si traduce in una minore incidenza di burnout, soprattutto nelle professioni ad alta esposizione emotiva, come i professionisti sanitari, psicologi, assistenti sociali e caregiver. Migliora anche la qualità del sonno e riduce il disagio psicologico legato, ad esempio, alla ricerca di lavoro.

Un aspetto particolarmente interessante riguarda la soddisfazione lavorativa. I dipendenti che coltivano l’autocompassione mostrano una maggiore gratificazione nel proprio ruolo professionale, in parte grazie a una gestione più efficace dello stress e a una ridotta vulnerabilità alla frustrazione. Inoltre, questi lavoratori tendono ad avere prestazioni più elevate, affrontano le difficoltà con lucidità e mostrano un maggiore coinvolgimento nelle attività.

 

Benefici interpersonali

I benefici della self compassion non si limitano alla sfera individuale. A livello relazionale, favorisce interazioni più empatiche, pazienti e collaborative. I professionisti che praticano l’autocompassione sono generalmente più abili nel costruire relazioni sane e meno inclini alla reattività emotiva nei conflitti.

Un vantaggio fondamentale, soprattutto nelle professioni d’aiuto, è la riduzione della “fatica da compassione” — un fenomeno comune tra coloro che lavorano a stretto contatto con la sofferenza altrui. L’autocompassione, offrendo una base emotiva stabile, consente di supportare gli altri senza esaurirsi, e si associa a un aumento della “soddisfazione da compassione”, ovvero il senso di realizzazione che deriva dal prendersi cura degli altri.

Anche i rapporti con colleghi e supervisori traggono beneficio dalla self compassion: minori livelli di autovalutazione negativa portano a meno conflitti relazionali, maggiore disponibilità al compromesso e a una più frequente adozione di comportamenti prosociali.

 

Implicazioni per la pratica psicologica

Per gli psicologi e gli operatori della salute mentale, promuovere la self compassion rappresenta un’opportunità terapeutica significativa. Aiutare i pazienti a sviluppare un dialogo interno più gentile e a normalizzare l’esperienza del fallimento rappresenta una leva potente per facilitare il cambiamento.

Inoltre, lavorare sulla self compassion nei contesti organizzativi può essere un intervento preventivo efficace per contrastare fenomeni come lo stress cronico, il burnout e la demotivazione. Formazioni aziendali e workshop esperienziali orientati all’auto-compassione sono già stati implementati con successo in molte realtà sanitarie, educative e aziendali.

 

Conclusioni

La self compassion non è solo un gesto di auto-cura, ma una vera e propria competenza psicologica in grado di trasformare l’esperienza lavorativa. I suoi effetti positivi si riflettono sulla salute mentale, sulle performance professionali e sulla qualità delle relazioni interpersonali. Per questi motivi, la self compassion dovrebbe essere considerata non solo un tema di ricerca emergente, ma una risorsa concreta e applicabile nella pratica psicologica quotidiana, utile per supportare il benessere individuale e organizzativo in modo profondo e sostenibile.

 

A cura di APL