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Criminalità e neuroscienze: l'influenza del cervello sul comportamento criminale
05/03/2025
L'intersezione tra criminalità e neuroscienze è un campo di crescente interesse e rilevanza. Le neuroscienze hanno offerto nuove chiavi interpretative che consentono di esplorare come le strutture cerebrali, le funzioni cognitive e i processi psicologici possano influenzare la propensione a compiere atti criminosi.
Mentre tradizionalmente si è posto l'accento su fattori socioculturali, oggi è sempre più evidente che anche il funzionamento e la morfologia del cervello giocano un ruolo determinante. In particolare, le alterazioni in specifiche aree cerebrali sono state collegate a comportamenti antisociali e violenti, suggerendo che la criminalità potrebbe essere il risultato di una combinazione di molteplici fattori: biologici, neurologici, psicologi e culturali.
In questo contesto, le neuroscienze offrono una visione sempre più chiara delle basi neurobiologiche che possono spiegare i comportamenti devianti. Le alterazioni nella materia grigia cerebrale sono state identificate come una delle principali correlazioni neurobiologiche associate al comportamento criminale. Gli studi più recenti hanno rivelato che la riduzione della materia grigia in specifiche aree cerebrali, come il lobo prefrontale, temporale e parietale, è significativamente legata a comportamenti antisociali.
In particolare, Hofhansel et al. (2020), nel loro studio sulla morfologia cerebrale nei criminali, hanno osservato che le riduzioni della materia grigia nelle aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione delle informazioni sociali e nel funzionamento cognitivo sono strettamente associate a comportamenti antisociali, in particolare a quelli reattivi e aggressivi. Il lobo temporale, cruciale per l'elaborazione delle emozioni e la comprensione sociale, ha mostrato una correlazione significativa con l'aggressività reattiva (Hofhansel et al., 2020). Questo è di particolare rilevanza, poiché le alterazioni nel lobo temporale sono state frequentemente legate a comportamenti aggressivi in coorti cliniche, suggerendo che il danno o la disfunzione in quest'area possa contribuire direttamente a manifestazioni violente e impulsive.
Inoltre, distinguendo i sottocomponenti del comportamento psicopatico e analizzando come questi interagiscano con la morfologia cerebrale, è emerso che non tutte le dimensioni del comportamento psicopatico hanno lo stesso impatto sulle strutture cerebrali: i tratti emozionali, come il distacco affettivo, e l'aggressività proattiva, non sembrano correlarsi in modo significativo con la riduzione della materia grigia. Al contrario, gli aspetti comportamentali specifici, come il comportamento antisociale e l'aggressività reattiva, mostrano una connessione molto più forte con le riduzioni del volume cerebrale, in particolare nelle aree coinvolte nel controllo degli impulsi e nella regolazione delle emozioni (Hofhansel et al., 2020).
Questa distinzione tra i diversi sottocomponenti del comportamento psicopatico offre un nuovo paradigma nella comprensione della relazione tra psicopatia, aggressività e neurobiologia, suggerendo che non tutti i tratti psicopatici sono ugualmente influenti o determinanti nel comportamento criminale.
Un altro ambito di ricerca concerne la relazione tra le aree cerebrali, i tratti psicopatici e la recidiva criminale. È stato riscontrato che individui che hanno commesso crimini violenti e sono classificati come ad alto rischio di recidiva, mostrano alterazioni nelle aree cerebrali coinvolte nel controllo degli impulsi, nell'elaborazione delle emozioni e nella regolazione del comportamento, come la corteccia prefrontale e il sistema limbico (Leutgeb et al., 2022). Le alterazioni in queste aree cerebrali sono state associate a una maggior probabilità di recidiva criminale, suggerendo che le disfunzioni cerebrali potrebbero contribuire alla tendenza a ripetere atti violenti.
Le neuroscienze hanno fatto significativi progressi nel chiarire come le alterazioni cerebrali possano essere connesse alla criminalità. La corteccia prefrontale, che è coinvolta nel ragionamento complesso, nell'autocontrollo e nel processo decisionale, è una delle principali aree identificate come alterate nei criminali violenti. La riduzione della materia grigia in questa zona cerebrale è stata frequentemente associata a comportamenti impulsivi e antisociali, suggerendo che una funzione compromessa della corteccia prefrontale potrebbe contribuire a un'incapacità di regolare il comportamento e di fare previsioni sulle conseguenze delle proprie azioni.
Inoltre, il sistema limbico, che svolge un ruolo cruciale nell'elaborazione delle emozioni e nell'autocontrollo, sembra essere anch'esso coinvolto. La sua disfunzione potrebbe spiegare in parte l'intensità di emozioni negative, come la rabbia o l'impulsività, che spesso caratterizzano gli atti di violenza e i crimini premeditati. Alcuni studi suggeriscono che una maggior emotività, combinata con una mancanza di autocontrollo, potrebbe aumentare la propensione a compiere atti criminali, in particolare negli individui con tratti psicopatici.
In conclusione, l'interazione tra strutture cerebrali e comportamenti antisociali continua a rappresentare un'area di ricerca fondamentale per comprendere le basi neurobiologiche della criminalità. Le evidenze scientifiche suggeriscono che alterazioni in aree chiave del cervello, come la corteccia prefrontale e il sistema limbico, possano essere determinanti nella predisposizione a comportamenti impulsivi e violenti. Sebbene non si possa ancora stabilire una relazione causale diretta, le disfunzioni cerebrali sembrano giocare un ruolo significativo nel rafforzare tratti psicopatici e nell'aumentare il rischio di recidiva.
A cura di APL - Psicologi della Lombardia